S. ROSA: LA FORZA DELLA FEDE. Una mostra, una tradizione.
22/12/2022
Si è conclusa il 31 ottobre scorso la mostra storico-documentaria sulla Festa di S. Rosa allestita al Monastero di S. Rosa di Viterbo “La forza della fede”, inaugurata il 26 agosto scorso.
Un’occasione per ricordare la centralità della Festa di S. Rosa e della figura della santa per Viterbo.
Quest’ultima portò in giro per la città il messaggio evangelico, proprio come il facchino conduce per le vie del paese la macchina a Lei dedicata. In una tradizione tramandata di generazione in generazione. Le qualità di un facchino sono speculari a quelle di Rosa: fede, forza (fisica ma anche morale), volontà (anche nel senso di convinzione e fermezza), rispetto, umiltà. Devozione insomma (tanto da dover sostenere una prova di resistenza, la cosiddetta “prova di portata”, sollevando 150 kg per 90 m); e spirito di sacrificio e alto senso di responsabilità. La camicia bianca del facchino, poi, richiama la purezza di ‘Rosina’; la fascia rossa, il colore dei cardinali che traslarono il suo corpo; e la fascia trasversale del Capo facchino e del presidente del Sodalizio (costituito nel 1978, il cui compito principale è instaurare un clima di fraternità sia nel gruppo dei 113 facchini che nella comunità), i colori di Viterbo giallo-blu.
I facchini si preparano tutto l’anno per tale momento. E, il 3 settembre, accompagnati dalla banda musicale del paese, partono per il cosiddetto “giro delle 7 chiese”.
Il prototipo della moderna macchina di S. Rosa (definita dal giornalista Orio Vergani “il campanile che cammina”) risale al 1690: un altare barocco con in cima la statua della santa. La struttura poi sarà sempre più modernizzata (nella rifinitura e nei materiali) e ingigantita, aumentandone l’altezza: arriva a pesare 52 q e fino a 28 m di elevatura.
Passaggio epocale è il 4 settembre del 1258 quando il corpo di Rosa fu traslato dalla Chiesa di S. Maria in Poggio all’attuale Chiesa di S. Rosa, per volere di papa Alessandro IV, cui comparve in sogno per ben tre volte.
La Festa di S. Rosa è un evento sociale, culturale, politico e religioso (per l’anti-ghibellinismo di Rosa e per le contese fra guelfi e ghibellini che ne guidarono un po’ le sorti), ma anche mondano, enogastronomico e commerciale.
Sentito dai viterbesi, attira turisti da tutta Italia e anche stranieri. D’interesse per ogni fascia d’età, è di stampo internazionale. Una tradizione che è diventata un modello culturale, un esempio di bene demo-etnoantropologico che si è evoluto nel tempo all’insegna dell’innovazione, senza perdere la sua valenza originaria.
Se la Macchina è dal 2013 patrimonio Unesco con le altre Grandi macchine a spalla di Nola, Palmi e Sassari, la Festa ormai è un simbolo perenne della città, una costante e un punto di riferimento.
Sembrerebbe un ‘fatto per soli uomini’, con i facchini protagonisti di quelle che potremmo definire gesta gloriose. In realtà non è così. Rosa rappresenta tutte le donne e le sante in un certo qual modo e, nello staff medico che segue la manifestazione e si occupa della sicurezza e della salute dei facchini, dal 2014 c’è anche un medico donna; ora esso è composto da 3 donne, 2 medici e un’infermiera.
Ma è anche per i più piccoli. Il Corteo storico, salvo rare eccezioni causa forza maggiore, non è mai stato interrotto. Nel 1974 furono fatti sfilare dei bambini in costumi medievali e nel 1976 sorse il cosiddetto Corteo dei Boccioli di S. Rosa. Inoltre ad agosto i bimbi che aspirano a diventare mini-facchini si preparano ed allenano per il trasporto.
La devozione per la santa patrona, poi, è visibile nelle letture e pubblicazioni che cominciarono a diffondersi subito dopo il processo callistiano del 1457. Esempio, l’opuscolo di 10 pagine ristampato nel 1568: Vita, miracula et missa propria sanctae Rosae, ed altri uffizioli (libelli sulla Festa). Soprattutto, però, nel 1583 la Festa (con la sua liturgia) sarà iscritta nei breviari minoritari (del XVII-XVIII sec.) del Martyrologium Romanum.
Ma è una Festa cui partecipa tutta la città, ogni quartiere. Tanto che la Macchina è diventata un modello replicato, con tante imitazioni, nelle cosiddette mini-macchine (da 6 a 11m di altezza e 7q di peso), trasportate per il paese. Personalizzate, sono un esempio dell’artigianato locale. Un’emulazione equiparata: i comitati delle mini-macchine, infatti, sono stati decretati “Ambasciatori del Sodalizio”.
Tuttavia è anche un evento ‘commerciale’ per cui, fin dalla I metà dell’800, per tale circostanza le monache creavano le cosiddette devozioni di S. Rosa: cordoncini, misure della mano e del piede della santa, confezionate che diventavano reliquie poiché messe a contatto col suo corpo.
E poi, dal punto di vista enogastronomico, i tipici biscotti di anice; sino a un vero e proprio menù per la giornata della Festa: dall’antipasto, alla minestra (con formaggio, zucchero e cannella), carne, frutta di stagione e dolce.
Tutto registrato nelle spese ‘dedicate’ per la circostanza.
Una Festa che divenne sempre più una cerimonia, ingigantita da tante iniziative correlate: fuochi d’artificio, tombolate, corse dei cavalli e ciclistiche, concerti, eventi sportivi, giostre per bambini, ecc.
S. Rosa, persino nella sua clausura e solitudine, seppe unire una comunità nella devozione e nell’emulazione della sua ‘missione evangelica’ e con la sua predicazione per quanto isolata, esiliata.